"La Grecia di Hofmannsthal è quindi un'invenzione onirica del poeta, un incubo ossessivo dell'autore, insomma un sogno. O meglio l'analisi antelitteram dei sogni. Per questo ho deciso di ambientare la vicenda in un palazzo
escheranamente distorto, dove i personaggi, vestiti in abiti da manicomio, con reminiscenze shakesperiane più che sofoclee, devono ad ogni parola pronunciata sbugiardare la possibilità di essere personaggi tragici e confermare la tragicità di non sapere più chi essi siano realmente: personaggi che fanno vivere l'incubo di Elettra, o incubi essi stessi di chi li guarda?"
(Carmelo Rifici, libretto di sala)
"È una patologia della mente quella che accomuna servi e padroni nel palazzo degli Atridi, livido e claustrofobico come può esserlo un ospedale psichiatrico all’interno del quale si muovono larve umane, i cui movimenti schizoidi rivelano la loro infermità (icastiche le serve di Francesca Botti, Giovanna Mangiù, Silvia Masotti, Chiara Saleri, Lucia Schierano). Niente segue più la scansione normale della vita: tutto sembra essersi fermato al momento della feroce uccisione di Agamennone per mano della moglie Clitemestra e del suo amante Egisto. Le serve strofinano parossisticamente le macchie di sangue che lordano il pavimento, coalizzate tra loro in aperta ostilità contro Elektra, emarginata e maltrattata, chiusa nel suo odio contro la madre, in spasmodica attesa del ritorno del fratello Oreste e dell’agognata vendetta.
Non indulge al patetismo Carmelo Rifici nella sua messa in scena, densa di richiami shakespiriani e di citazioni letterarie, dell’Elektra di Hugo von Hofmannsthal: punta, invece, sulla forza espressiva di un’interprete del calibro di Elisabetta Pozzi, che rende con sorvegliata efficacia la ferocia e il rancore che le minano anima e corpo. Intorno a lei si raggruma un’umanità malata, piagata nell’intimo, sconvolta dai propri interiori tormenti, come la sorella Crisotemi (impersonata con efficacia da Marta Richeldi), costretta suo malgrado a condividere l’infelice sorte di Elektra, quando invece vorrebbe poter vivere con pienezza il proprio destino di giovane donna. Il suo essere sembra cristallizzato in una forma che non le appartiene più, quella di fanciulla ormai appassita, come mostra l’abito da bambola gualcito che indossa.
Vittime e carnefici sono lacerati in uguale misura da fantasmi della psiche: Clitemestra (una tormentata Mariangela Granelli), sconvolta da incubi notturni, scanna vittime sacrificali per placare gli spettri che l’assediano e invano chiede aiuto all’odiata figlia. I volti devastati da maschere rugose rivelano i torbidi meandri dell’anima, segnando la fisionomia delle serve, di Crisotemi, di Clitemestra e di Egisto (uno spettrale Alberto Fasoli), mentre Oreste (l’appassionato Massimo Nicolini) al suo insperato apparire mantiene una sorta di incontaminata purezza. Percorre tutto lo spettacolo la musica creata da Daniele D’Angelo, un originale impasto sonoro di melodie, rumori, dissonanze a commento dell’azione."
(Caterina Barone, Corriere del Veneto)