"...
The Artist è una parodia nel senso letterale del termine, cioè una riscrittura, un'imitazione che gioca su vari modelli d'epoca, collocando il clou della storia in un momento fatidico per il cinema, quel biennio 1927/28 quando prese a parlare: una vera rivoluzione, già rievocata nell'incantevole commedia musicale
Singin in The Rain. Per
The Artist, Hazanavicius attinge a questo e altri generi incluso il melò (a partire da
A Star is Born); mentre la star George Valentin impersonata da Dujardin ha il baffetto sciupa femmine dell'avventuroso e romantico Douglas Fairbanks, e la Peppi incarnata da Bérénice Béjo è un tipetto spiritoso e vivace alla Claudette Colbert. La vicenda è quella di un divo che tramonta, di una stellina che ascende e di una reciproca attrazione amorosa che si concretizza in un delizioso happy end. Ma, a dispetto di quanto abbiamo scritto,
The Artist non è un prodotto di nicchia riservato ai più cinefili. Girando in loco con parecchie maestranze americane, Hazanavicius è riuscito infatti a realizzare un film che ha le carte in regola per essere davvero un film muto hollywoodiano, e di quelli ottimi: copione, fotografia, costumi, ambienti, cast, tutto è perfetto, incantevole. D'altro canto la commedia è moderna per il filtro di un ironico distacco (sottolineato da una colonna sonora in cui troviamo persino il tema dell'hitchcockiano Vertigo), che però non va mai a detrimento della partecipazione emotiva."
(Alessandra Levantesi,
La Stampa)
"Può un film in bianco e nero e (quasi) interamente muto, proiettato in formato quadrato nonché lievemente accelerato (22 fotogrammi al secondo invece dei consueti 24) rompere il tacito patto tra il critico e lo spettatore? Certamente sì, nel caso di «The Artist» del francese Hazanavicius (candidato non a caso a cinque Golden Globes): rinunciando al dovere professionale di mediare tra i diversi gusti dei diversi pubblici, il primo dichiarerà al secondo di non accettare controversie perché si tratta di un capolavoro."
(Valerio Caprara, Il Mattino)
"A volte, si attribuisce troppo spesso, ad un film, l’etichetta di capolavoro ma per questa stupenda pellicola non si rischia di abusare del termine. Che poi il lungometraggio probabilmente più bello di questo 2011 non sia parlato e a colori la dice lunga su cosa si intenda per «magia del cinema». Certo, l’idea è originale. Fare un film Muto che racconti l’avvento del Sonoro è da applausi. Una sfida azzardata ma vinta a pieni voti. Merito di Michel Hazanavicius che ha confezionato un gioiello artistico assoluto."
(Maurizio Acerbi, Il Giornale)
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