domenica 1 aprile 2012

Romanzo di una strage

«Da mesi si compiono attentati, seminando panico, feriti, ora anche morti. Chi ha cospirato non ha attenuanti.»


«Non faremo nulla, li costringeremo a coprire tutto come i gatti con gli escrementi. Ma lei, presidente, ove mai dovesse avvertire intorno alla sua persona il muoversi di spinte o ti tentazioni autoritarie, le ignori.»
«Aldo, sarebbe meglio che mi venisse un colpo come a Segni, vero?»
«Sono venuto per farti gli auguri. Buon Natale, presidente.»

"È un film secco e pudico quello di Marco Tullio Giordana che mette mano (e cuore) su una delle pagine più tragiche della nostra storia recente. Come e insieme a Pasolini. Un delitto italiano, Romanzo di una strage è un film sulla morte, sulla morte al lavoro. Il regista milanese affronta una delle stragi più devastanti e destabilizzanti della nazione e vi cerca dentro il ‘senso' della vita di Giuseppe Pinelli e Luigi Calabresi, assieme ai segni e alle tracce della nostra prematura morte civile. Perché in Piazza Fontana, sull'asfalto della questura di Milano e in Largo Cherubini non sono morti solo loro. In quella terra di nessuno della coscienza e della memoria sono caduti anche i sogni e le speranze degli anni Settanta. 
Nella notte di Giordana, come in quella di Bellocchio, si muove la generazione che ha ucciso due padri e non è riuscita ad assumere e a fare propria la loro storia. Potenzialmente popolare, il cinema di Giordana prova ancora una volta a superare le rigidità ideologiche e a recuperare l'umanità del gesto, ricostruendo l'Italia di allora con scrupolo filologico (e giuridico) di grande rigore. Asciutto come un giallo ed essenziale come un courtroom drama, Romanzo di una strage dimostra con l'eloquenza dei fatti che non c'è stata giustizia e che la Legge dei tribunali si risolve troppo spesso in un'opera di rimozione. 
Pronto a reinventare per il grande schermo paure e passioni, Giordana ribadisce la sua assoluta predilezione per il melodramma (lirico), di cui elude l'emotività iperbolica ma assume i ‘movimenti' musicali. L'opera, che accompagna la narrazione ‘in atti' e viene dichiarata ‘in scena' da un burocrate, è l' “Anna Bolena” di Gaetano Donizetti. Come la regina inglese, consorte ripudiata e ‘spinta' alla morte da Enrico VIII, Pinelli e Calabresi sono figure autenticamente tragiche, profondamente maltrattate, profondamente dolenti eppure sempre dignitose e nobili. Abile a scardinare l'omertà e a rompere pesanti silenzi, il regista ‘esplora' la materia drammatica di una nazione, guidando lo spettatore con assoluta empatia nella sofferenza di due uomini ostinati e contrari. 
Giuseppe Pinelli e Luigi Calabresi hanno rispettivamente il volto di Pierfrancesco Favino e Valerio Mastandrea, sorprendenti nel sottrarsi al rischio corso da un attore chiamato a interpretare un personaggio reale. Nessuna mimesi o impudica spavalderia nelle loro performance, piuttosto frammenti, intuizioni, visioni parziali di quei corpi nel teatro di un delitto senza castigo. ‘Romanzato' da Rulli e Petraglia e agito in pomeriggi declinanti e in interni da cui si esce in qualcosa che non sembra il mondo ma solo un altro interno, Romanzo di una strage semplifica, ‘interpreta' e agevola (la comprensione di) una strage impunita. 
Nell'assurda e crudele immodificabilità delle cose, a due mogli-madri (Licia Pinelli e Gemma Calabresi nell'interpretazione misurata e composta di Michela Cescon e Laura Chiatti) appartiene altrimenti lo smottamento di tenerezza, restituito con una sciarpa calda e una cravatta bianca."
(Marzia Gandolfi per Mymovies)

«È un film importante per ricordare quel che è stata Piazza Fontana. Era necessario un omaggio alla memoria e a tutte le vittime: i morti della strage; Giuseppe Pinelli; mio padre; e l'ultima vittima, la giustizia. Giordana è stato coraggioso, perché è uscito dalla contrapposizione tra mio padre e Pinelli, che in questi quarant'anni c'è sempre stata; per cui se si faceva qualcosa per papà subito si rispondeva "allora perché non Pinelli?", e se si diceva qualcosa per Pinelli la replica era "allora perché non Calabresi?". Il film è sulla linea del presidente Napolitano, che si è impegnato per restituire umanità alle persone, liberandole dalla condizione di simboli, e con questo spirito nel maggio 2009 fece incontrare Licia Pinelli e mia madre. Non è un film buonista, non edulcora la realtà, anzi ha il pregio di mostrare che Pinelli e mio padre facevano due mestieri diversi, erano persone agli antipodi; ma non erano nemici.»
(Mario Calabresi, intervista al Corriere della Sera)


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